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I NOSTRI PADRI

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LA TRADIZIONE LOCALE

L'ARCOBALENO RICORDA

IMPRONTE ED ISTANTI

Al mare

L'una dopo l'altra,
l'onde del mare
si prostrano ai miei piedi.
Ora so di non essere
un uomo da nulla.

Vito Giuseppe Mele
Il mio cuore in versi, Edizioni Libroitaliano, 2002...(leggi tutto)

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dicembre/gennaio 2019-2020

L'ARCOBALENO PROMUOVE

L'ARCOBALENO CONSIGLIA

12 - 3 - 2018
La scomparsa di mons. Antonio Rosato. Aveva 81 anni
L'Arciprete emerito è morto questa mattina. Domani i funerali

Si è spento questa mattina a San Vito dei Normanni, nella sua casa canonica di via Garibaldi (dinanzi alla Chiesa Matrice che ha servito per quasi quarant’anni), mons. Antonio Rosato. Aveva 81 anni.
Sacerdote, cappellano di Sua Santità, insegnante, scrittore, artista sacro o più semplicemente “don Antonio” (come era affettuosamente chiamato da tutti senza distinzione di età, amici di vecchia data e ragazzi che aveva visto nascere e che aveva unito in matrimonio), è stata una di quelle figure che sanno lasciare il segno del proprio passaggio nella comunità per la quale rivestono un ruolo di guida. Era un pastore fedele e docile, fermo nella difesa delle tradizioni locali e convinto promotore della "via pulchritudinis" propria della bimillenaria tradizione della Chiesa attraverso le espressioni artistiche, volto buono di quel Signore che per primo serviva e seguiva.
Una delle sue ultime uscite pubbliche, al di fuori della celebrazione ordinaria della Messa, era stata il 22 febbraio scorso, per una riflessione durante la Veglia vicariale nella festa della Cattedra di San Pietro.
La camera ardente è stata allestita nella Chiesa di Santa Maria degli Angeli (la Chiesa Vecchia). Domani, alle 15,30, i funerali nella Basilica di Santa Maria della Vittoria. La salma sarà tumulata dopodomani nel cimitero di Locorotondo, sua città di origine.

Ecco un ricordo dell'arciprete Rosato a firma del nostro Dario Romano:
Sanvitese d’adozione (era nato il 5 dicembre 1936 a Locorotondo, in provincia di Bari ma nella diocesi di Brindisi-Ostuni), a tre anni dall’ordinazione sacerdotale (17 marzo 1963), fu destinato alla cura delle anime a San Vito e per tre anni fu vicario parrocchiale presso la nostra Chiesa Madre accanto ad un altro grande pastore, mons. Francesco Passante.
Alla morte di questi (10 gennaio 1969) gli successe come Arciprete di Santa Maria della Vittoria, incarico che mantenne fino al settembre 2007, quando rassegnò le dimissioni per raggiunti limiti di età. Negli ultimi undici anni è stato rettore della chiesa di Santa Maria degli Angeli (popolarmente nota come la “Chiesa Vecchia”).
“Arciprete” era il titolo conferitogli quasi per antonomasia da tutti i sanvitesi, che richiamava quello di mons. Passante e che – come in quel caso – veicolava non solo l’idea di guida spirituale di una comunità cittadina, ma quella di maestro nella cultura e nell’amore per le radici cristiane proprie del popolo sanvitese. Così si era meritato degnamente l’eredità di mons. Passante, quasi a divenire, come lui, uno degli indiscussi punti di riferimento culturali per l’intera comunità cittadina e diocesana.
Non pochi, in quasi quattro decenni, i momenti significativi del suo parrocato tra noi. Si ricordino almeno le celebrazioni per il 400 anniversario dell’apertura al culto della Basilica, addirittura con l’indizione di uno speciale Anno Santo (1995), il conferimento del titolo stesso di Basilica Pontificia Minore alla Chiesa di Santa Maria della Vittoria per motivi storici (1998), le celebrazioni per i 1700 anni dal martirio di San Vito, patrono principale della Città (2003), e la cessione della chiesa di Santa Maria della Pietà (“Ospedale”) in comodato d’uso al Comune di San Vito per il restauro strutturale dell’edificio (2007).
Non si possono qui ricordare i molti meriti culturali, ma basti citare l’indefessa attività di artista sacro e committente di opere d’arte, molte delle quali – certo non tutte – sono andate ad arricchire la Basilica di Santa Maria della Vittoria, non come suo lascito personale (ha sempre rifuggito questo genere di cose), ma come segno della devozione del popolo sanvitese verso la casa di Dio. Si pensi alla realizzazione delle quindici stazioni della Via Crucis, direttamente opera delle sue mani di artista (così come le icone dello Spirito Santo e de "Lo Sposo"); si pensi ai lavori di restauro conservativo della Basilica, alla commissione dei portoni in bronzo (opere di Ernesto Lamagna), delle vetrate decorative e del nuovo arredo ligneo nel presbiterio. Sotto la sua arcipretura furono anche realizzate le statue processionali di Cristo Risorto, di Maria Vergine, di Gesù Bambino “scapolato” e del Santo Patrono, oltre al restauro di molte tele (tra cui le seicentesche pale d’altare de "La Battaglia di Lepanto", "La Natività della Vergine" e "L’Ultima Cena").
Anche come rettore della chiesa di Santa Maria degli Angeli - dove negli ultimi anni aveva avviato la "Lectura Dantis" e il "presepe pasquale" - si è prodigato incessantemente per la cultura e l’arte facendone una sorta di casa della cultura e della devozione religiose dei sanvitesi, come lascia intravedere la sua scelta di riscoprire l’antico titolo di quell’edificio di culto (attestato già nei documenti storici): “Tempio antico della Città”.
E lì dentro "tempio" diveniva lui stesso: maestro di preghiera, padre spirituale di molti giovani e di molti preti, "insigne per dottrina e per virtù sacerdotali" - parole del vicario generale della Diocesi e suo figlio spirituale, don Fabio Ciollaro - uomo di fede profonda, ragionata (sino ai limiti in cui la ragione può spiegare la fede), in dialogo anche con i non credenti, perché la Chiesa, attraverso il suo umile ministero, potesse rivelare il vero volto di madre che ha cura dei figli lontani.
Tra i suoi lasciti artistici, il principale è certamente l’icona della "Madre di Dio Nikopeia", opera d’arte da lui dipinta negli anni Novanta e che ebbe l’onore di essere benedetta e solennemente incoronata con diadema per le mani di san Giovanni Paolo II, il 26 ottobre 1996 in Vaticano. Ma questa icona, realizzata al modo delle immagini bizantine e per questo chiamata con il nome greco "Nikopeia" (cioè Operatrice di Vittoria), è ben più: potremmo definirla come l’emblema di una propria “politica culturale” e, quindi, una sorta di lascito spirituale di mons. Antonio Rosato. La "Nikopeia" infatti, rientra in una serie di scelte culturali che l'Arciprete operò nei quarant'anni sanvitesi, volte alla riscoperta dell’importanza storica della Basilica e di quel messaggio inciso dai nostri padri a caratteri cubitali sull’architrave della chiesa, "Caelitus Victoria", dal cielo la Vittoria. L’evento storico che è (con altri eventi) all’origine della costruzione Chiesa Madre, la Vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571), nella scelta di don Antonio sembra divenire infatti un punto di partenza culturalmente fecondo – e da mons. Rosato personalmente arricchito – per riscoprire nell’oggi della storia il compito del cristiano e di tutta la comunità dei credenti: lottare contro quel male che si cela dietro la perdita degli intramontabili valori umani. Da qui il ruolo cruciale che l'amore per la conoscenza e la cultura giocarono nella sua vita di uomo, ma pure la capacità di saper proporre il cammino verso i grandi orizzonti della vita con la semplicità di un sorriso, in fin dei conti sempre complice della nostra debole umanità.
Con don Antonio se ne va davvero un pezzo di storia locale, quella storia che camminava per il corso a braccetto del primo che capitava e prendeva le sembianze di uomo per nascondere i bambini sotto le ali "wojtylane" e paterne delle proprie vesti sacerdotali. Se ne è andato al termine della "domenica laetare", la "domenica della gioia" nel cammino verso la Pasqua: già questo è un invito che ci viene rivolto, da accettare e far nostro così come è stato accolto dall'uomo, prima ancora che dal sacerdote Antonio Rosato.


foto Vincenzo Amati

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